Bias cognitivi e orientamento scolastico: comprendere le trappole mentali per accompagnare scelte consapevoli
Quando arriva il momento di scegliere la scuola superiore, nelle famiglie si crea un tempo particolare: fatto di domande, aspettative, ricordi, timori e speranze.
È un passaggio delicato, soprattutto per gli adolescenti che stanno cercando il proprio posto nel mondo, ma anche per i genitori che desiderano proteggerli, sostenerli, orientare senza invadere.
Orientarsi non è solo selezionare un indirizzo di studi.
È un atto intimo, legato all’identità, al futuro e alla fiducia che un ragazzo ha in sé stesso.
E come ogni scelta importante, è fragile, attraversata da emozioni e da meccanismi invisibili della mente.
La psicologia ci ricorda che le decisioni non sono mai completamente razionali: sono influenzate da scorciatoie cognitive, i cosiddetti bias, che tutti abbiamo. Conoscerli non significa giudicarci, ma acquisire consapevolezza per accompagnare meglio i nostri figli.
Due sistemi di pensiero: intuizione ed esplorazione
Lo psicologo Daniel Kahneman descrive due modi diversi in cui la mente prende decisioni.
Il Sistema 1 è veloce, emotivo, intuitivo.
È quello che dice “questa scuola non fa per me” o “tutti i miei amici vanno lì, andrò anch’io”, senza che ci sia un vero ragionamento.
Il Sistema 2 è più lento, riflessivo, analitico.
È ciò che ci permette di fermarci, informaci, considerare alternative e vedere più lontano.
Nell’adolescenza, e nelle scelte scolastiche, il Sistema 1 tende a parlare più forte.
Il compito degli adulti non è decidere al posto dei ragazzi, ma aiutarli ad attivare anche il Sistema 2: quello che permette di trasformare un’impressione in una scelta consapevole.
Le trappole mentali più comuni nelle scelte scolastiche
Conoscere i bias aiuta a non cadere in decisioni impulsive o condizionate.
Ecco quelli che più spesso incontriamo nell’orientamento.
Bias di conferma
Tendiamo a cercare solo informazioni che confermano ciò che pensiamo già.
Uno studente convinto di “non essere portato” per una materia troverà prove solo dei suoi limiti, ignorando i progressi.
Euristica della disponibilità
Giudichiamo una scelta sulla base dei primi esempi che ci vengono in mente.
Se abbiamo conosciuto due persone insoddisfatte di una professione, rischiamo di generalizzare.
Effetto alone
Una qualità positiva viene estesa a tutto il resto.
Se un ragazzo è bravo in matematica, si può credere automaticamente che debba scegliere un percorso scientifico, senza considerare altri aspetti.
Effetto Dunning-Kruger
Chi ha poche competenze tende a sopravvalutarsi, chi ne ha molte tende a sminuirsi.
Nell’adolescenza, questa distorsione può essere molto forte.
Effetto framing
Il modo in cui si presenta una scelta ne modifica la percezione.
“Il liceo dà più sbocchi” produce un effetto diverso da “un tecnico insegna una professione”.
Avversione alla perdita
La paura di perdere qualcosa di conosciuto (gli amici, un ambiente familiare) può bloccare scelte potenzialmente positive.
Bias del presente
Si tende a privilegiare il vantaggio immediato rispetto a quello futuro.
“Scelgo la scuola più facile” può diventare una scorciatoia rischiosa.
Illusione di controllo
Come genitori, a volte crediamo che decidere per i figli li protegga, quando in realtà sottraiamo loro la possibilità di conoscere sé stessi.
Come possono aiutare i genitori
Conoscere i bias è solo un passo.
Il vero cambiamento avviene quando creiamo lo spazio per parlarne in modo sereno, aprendo dialoghi che aiutano i ragazzi a vedere più chiaro dentro di sé.
Domande utili potrebbero essere:
Quali aspetti di questa scelta ti fanno sentire sicuro?
Quali invece ti confondono?
Che cosa stai pensando “perché lo hai sempre pensato”?
Di quali informazioni abbiamo davvero bisogno per capire meglio?
Parole che sostengono:
“Hai il diritto di esplorare e cambiare idea.”
“Non devi sapere tutto ora, ci arriviamo insieme.”
“La scelta migliore è quella in cui tu ti riconosci.”
“Guardiamo più lontano, con calma.”
Azioni che fanno la differenza:
Cercare le informazioni insieme, ma lasciare che sia tuo figlio a fare la sintesi.
Distinguere le sue paure dalle tue.
Ricordare che non esiste un percorso giusto “in assoluto”, ma solo uno giusto per quella persona in quel momento della sua vita.
Orientare significa educare alla complessità
Viviamo in un tempo in cui i percorsi professionali non sono più lineari.
Per questo l’orientamento non può essere una scelta tecnica, ma un’educazione alla complessità: un modo per insegnare ai giovani a conoscere se stessi, a distinguere le impressioni dai dati, i timori reali da quelli immaginati.
Scegliere bene non significa avere tutte le risposte.
Significa riconoscere le proprie trappole mentali, imparare a guardarle da vicino e aprire uno spazio in cui il pensiero possa respirare davvero.
Ed è proprio lì, in quello spazio più ampio, che un ragazzo può iniziare a scoprire la propria strada.